mercoledì 19 gennaio 2011

NUOVI RACCONTI

IL GIORNO PRIMA

Si, si ti dico, trascorso in modo ordinario, il giorno prima. Sveglia alle sei, come al solito e, come al solito, immediata visita in bagno. Barba, intanto; quindi  ripiegamento in camera per disinserire le sveglie. Corsa in cucina. Biscotti, caffelatte, marmellata, yogurt. Fumata quasi per intero una sigaretta. Poi, a ruota,  camera, armadio, ricambio. Ritorno in bagno. Doccia, velocissima. Vestizione ed elenco sussurrato delle cose da prendere. Portafogli, telefono, orologio, documentazioni varie, chiavi. Confezionamento dei rifiuti, deposizione accanto alla porta d’ingresso. Poi  i saluti, frettolosi.  Ci sei,fin qui ?  Chiamo l’ascensore che non e’ quasi mai al piano. E sono gia’ fuori, parcheggio, auto. Una ventina di chilometri, assonnato, infreddolito, distratto, non arrivo per primo, ma faccio in tempo a non arrivare per ultimo. Saluti approssimativi. Scrivania, e si comincia, o quasi. Di seguito il primo  vero caffe’e un’occhiata al giornale. Dopodiche’ lavoro,  lavoro, facezie, lavoro, facezie, telefono, facezie, lavoro. Pausa. Pranzo con i colleghi. Bar tavola calda.  Scelta del primo o del secondo, o del piatto composito del giorno. Riesame del giornale. Smorfie Del caso. Commenti, sdegnati come al solito. Ieri anche quella notizia tremenda, ma ogni giorno ce ne sono. Corrispondo il dovuto, rivolgo una parola alla cassiera. Ritorno alla scrivania. Lavoro, lavoro, programmazione del lavoro successivo, telefono, elenco mentale delle pratiche da trattare l’indomani, promemoria del caso. Fine. Esco che e’ praticamente sera. Parcheggio. Auto. Ieri mi pare stessi fischiettando, persino. Mi segui ? Altri venti chilometri, ma frazionati. Sosta dal droghiere per quelle due cosucce che mancano, dimenticate durante la spesa settimanale. Parcheggio. Casa. Anna. “Tutto ok ?” ,” tutto quasi bene?” “Si, si, in ufficio un dramma dietro l’altro, le cose peggiorano di giorno in giorno…ma che si mangia?”. Bagno, abiti da casa, cena. Tv forse, se non c’e’ altro di meglio da fare. Tutto normale fin qui, tutto nell’ordinario, no ? Anche gli sbadigli. Che arrivano regolarmente. Reciproci. Bagno, una seconda volta, infine letto. Fin qua tutto nella norma, confermi? Tutto regolare no? Tutto a posto, ti pare? E questo e’ stato. Mi hai capito? Nessun segno premonitore, nessuna avvisaglia, niente di niente. E questo fino a ieri. Si, si  ieri, ti dico, il giorno prima che accadesse. 

PROTESA

Si, si, cosi’ ci piaci. Truccata e, profumata. Smagliante complice della nostra umana arrendevolezza eppure sdegnosa, talvolta. Un ineludibile conforto per le nostra anime bisognose. Un magnete che attira i nostri sguardi verso il tuo profilo migliore, avvolto in abiti sgargianti. Esclusiva e perfetta di fronte alla nostra mediocrita’, Quanto dobbiamo apparirti dimessi e trasandati. Quanto esitanti ed incerti nel rispondere ai tuoi perentori appelli. Consapevoli anche noi di non meritarti quasi mai. Consci del nostro essere prodotti infimi e inaffidabili. Sicuri che non saremmo mai scelti da te. Quanti battiti di palpebre ci hai strappato ? Quante  dichiarazioni iperboliche ? Ci mettiamo in mostra anche noi, vedi, nel nostro piccolo, certi che la selezione ci riguardi tutti. Confortati dall’accoglienza che ci riservi. Che ci riservate. Rassicurati dal vostro ammiccare quando ci protendiamo verso di voi, vi afferriamo e poi, con gesto risoluto, vi conquistiamo. E ci tuffiamo con voi.nel carrello.


IMPREVISTO

Avevamo fatto le cose per bene, Rossana ed io. Conosciuti giovanissimi, sani tutti e due, e innamorati. Sposati quasi subito, arrivati in anticipo a tutti gli appuntamenti, bruciate tutte le tappe, carriere comprese. La casa, poi la villa. Aiutati, certo, ma neanche troppo. Gravidanza perfetta, venuta al mondo senza problemi. I complimenti del personale medico.I tratti del viso che si intuivano gia’ belli e alteri fin dai primi mesi. Poi e’ cresciuto, mentre noi riprendevamo tante abitudini di prima. Lo osservavo. Lo sentivo parlare.. Le prime parole, le frasi smozzicate. Infine l’esposizione compiuta di pensieri o di quel che di essi si puo’ riferire. E da li’ ho cominciato a soffrire. Mi dicevo che non poteva essere. Che avrei dovuto intervenire, farci qualcosa. E ci ho anche provato.Ma non e’ servito a niente. Tuttavia l’ho cercato inutilmente, nel tempo, in quello che diceva, quel minimo di senso logico, quel ritaglio di buon senso o di originalita’. Non pretendevo ragionamenti complessi, non mi interessava rintracciare nelle sue frasi un po’ di me, men che meno aspiravo ad avere il genio in casa. E ho continuato a cercarla, negli anni, quel po’di coerenza logica, o di profondita’, senza esito.Ora quando parla faccio finta di niente . Se sono nell’altra stanza e mi giunge lo stesso il suono della sua voce, mi tappo le orecchie. Nelle cene conviviali, quando c’e’,  mi industrio in mille sotterfugi per far si’ che parli ilmeno possibile.
Andava tutto bene. Ora e’ tutto in vacca.Quando esce e permane per un po’ fuorimi sembra di rivivere. Ma le volte che sta in casa e parla, non lo sopporto.Non sopporto di avere un figlio imbecille.



ZORRO E’ MALATO

Ora ne approfittano, vogliono essere sicuri che capiamo veramente. Lavoriamo tutto il giorno come schiavi, senza vedere un peso e la notte ci tocca sopportare le incursioni dei loro scagnozzi.E non ci vanno leggeri. L’altro giorno, alla seconda frustata, Ramon ha avuto un gesto di ribellione. Cosi’ l’hanno preso, legato ai cavalli e squartato vivo,mentre noi eravamo obbligati ad assistere. E a lungo, perche’ hanno impiegato vecchi ronzini che non ne volevano proprio sapere di muoversi. Hanno usato i piu’ vecchi, per non stancare gli altri. Si prendono tutto, dano fuoco alle nostre capanne, ai miseri oggetti che ci rimangono. Violentano le donne. Adesso siamo in mano loro. Adesso si fanno forti. Ora che Zorro e’ malato.



IO TI CREDO

Mi hai portato in Kenya, eri proprio deciso a costruirla quella scuola. Ne parlavi tanto quando ci vedevamo al Circolo, la sera. Cibo e istruzione, dicevi. Aiutarli qui poveracci a camminare con le loro gambe. Mi hai sottoposto il progetto, corredato di foto e diagrammi. E mi hai ringraziato dopo che ti ho avallato la richiesta di finanziamenti. Con molto calore. Abbracciandomi persino, una volta, al termine di un tuo piccolo comizio. Quando mi hai coinvolto direttamente nell’impresa mi sentivo felice, quasi realizzato. Me ne sono rimasto al mio posto,ma l’hai capito, dentro di me gongolavo. All’organizzazione del viaggio ho poi pensato io. Un esborso limitato, dopotutto. Poche ore di volo, qualche chilometro in pullman. Bastevoli, tutavia, ad intaccare la tua determinazione. Sei….siamo arrivati al villaggio gia’ un po’ scocciati, credo di poterlo affermare. Alberi rinsecchiti, terreni riarsi, campi ormai esausti e zanzare ovunque. Gli operai erano in pausa e in numero minore del previsto. Mancavano i soldi, dicevano.Gli ingegneri non si facevano vedere da tempo. La sera dopo non ho neanche dovuto chiedertelo. Mi e’ bastato guardarti per capire. Nessun ripensamento, mi hai detto. Ma vedi, quell’altra questione, il museo artistico di Arbus, esige tutto il mio impegno, specie ora che le elezioni sono alle porte, capisci? Si’, io credo di capirti. Ma e’ un mondo feroce, la’ fuori. Un mondo di illazioni ed antipatie immotivate, in cui l’intraprendenza e’ sovente confusa con l’opportunismo. Io so che fai del tuo meglio, che da anni non ti concedi un momento tutto tuo, che non riesci a placare la tua irruenza, contenere la tua disponibilita’ per il prossimo, anche a costo di essere giudicato incoerente. Io ti comprendo. Io ti credo.Te l’ho ripetuto ancora l’altro giorno quando ci siamo ritrovati al Club, quello che hai aperto due mesi fa. Si, si quello nuovo, con le porte scorrevoli e l’insegna grande e luminosa. Con le luci intermittenti.


ALFA 2

Non esiste dentro e fuori su Alfa due. Difficile spiegare. Non c’e’ propriamente un sopra e un sotto e, se vuoi saperlo, nemmeno un avanti e un  indietro, perche’ non ci sono distanze da coprire. Mi chiedi se si respira. In qualche modo si’, ma in maniera diversa. Non e’ propriamente un atto volontario, una attivita’ riflessa, ma qualcosa di diverso. Mi esprimerei in questi termini: si e’ respirati. Bisogna andarci, per comprendere a fondo. Gli oceani di plasma, il flusso elettronico conformato, la non luce, vorrei descriverteli, ma e’ impossibile. Come ? Ah, si’, si scopa su Alfa 2. Normalmente.


RIEVOCAZIONE

Alla fine ci siamo andati. Su indicazione di Ermanno ed Elena, che abbiamo incontrato dopo pranzo nella piazza del paese. Non ci tenevo molto, ma un po’ di colore, dopotutto, non guastava. Cosi’ ci siamo avviati con loro. C’erano le solite bancarelle di cianfrusaglie pseudo storiche, riproduzioni in plastica di picche, fucili ad avancarica, cartine dell’epoca ed ornamenti militari, che abbiamo accuratamente evitato. Poi, prima di vedere i soldati, si sono sentiti i tamburi e, al margine del campo, hanno fatto capolino gli stendardi. Verdi da un lato e neri dall’altro. Ci siamo seduti sulla riva erbosa, a lato della strada, chiusa al traffico per l’occasione, meditando sull’eventualita’ di un gelato. Ma era tardi, stavano gia’ apparendo i soldati, nelle loro uniformi strette e sgargianti. Si ordinavano su due fronti contrapposti, marciando sul posto.  Una volta sistemati i cannoni ed i cavalli si era a posto, pensavamo. La camionetta col telo mimetico non si capiva cosa c’entrasse. . Si era messa in moto e ne erano scesi militari equipaggiati di tutto punto. Scambiavano ordini. Si indirizzavano gesti, indicazioni. Uno si mise a gridare in direzione di un mezzo blindato che stava sopraggiungendo dall’estremo opposto della strada. E altri, sebbene ci fosse il sole a dipingersi il viso di nero. E tutti quanti, infine, cominciarono a sparare. Ovunque.

I LADRI

Ti telefonano nel cuore della notte, all’Hotel Vattelapesca, dove alloggi per le vacanze. “Scusi l’ora, vorremmo disturbarla il meno possibile.”Intendiamo comportarci bene”. Il risveglio non e’ dei migliori, certo, ma scacci il disappunto e cerchi di concentrarti. Avresti potuto cascare peggio. “Dunque, si’, l’apparecchio X lo vedete, e’ vicino al tavolo del soggiorno, e non ci sono problemi.” “Sicuro? Ha un aspetto asettico ma potrebbe nascondere motivi di affezione”.”No, e’ nuovo,  non abbiamo avuto il tempo di, ma non e’ troppo grosso?.” “Lo prendiamo allora.” “Si, poi ci sono il lettore X , il video Y, l’impianto Z, ma le istruzioni, sono difficili”.Cogli una voce in sottofondo, qualcuno contraddistinto da modi meno urbani rispetto all’interlocutore, che esorta a sbrigarsi” Si, ecco, non voglio farvi perdere tempo, i valori sono nella cassaforte, la combinazione e’ X, ma….” “Si’?” “Ecco, mi dispiace, c’e’ poca roba.” “Qualcosa di particolare che desidera…?.””L’orologio del nonno, placcato oro, lo riconoscera’ senza che glielo descriva” “Siamo qui per questo. Allora, c’e’ altro ?” “A posto.” “Le auguro buonanotte.””Buonanotte e, e’ stato un piacere”.

martedì 18 gennaio 2011

NOTA SULLA PROPRIETA' DELL'OPERA SCRITTA

Nota dell'autore. Ogni testo contenuto in questo sito, salvo diversa indicazione, e' da ricondurre all'opera di Paolo-Prateria, che ne e' l'autore. Qualora si desideri utilizzare in tutto o in parte tale produzione, menzionandone la provenienza, si prega di richiederne autorizzazione via Mail.La produzione letteraria in argomento non riveste fini di lucro. Grazie.

sabato 15 gennaio 2011

RACCONTI DODICI (CREDO)

IL FUTURO

Avanziamo lentamente, premuti contro la paratia in plexiglass, compressi nella calca, sudati e nervosi prima di scorgere, oltre l’ennesima cortina di corpi, le indicazioni che cercavamo. Intorno una teoria di modellini, plastici, tour virtuali e hostess piu’ o meno vestite, a corredo dei vari ambienti.. Evitiamo un successivo mare di depliants, esposizioni pubblicitarie, progetti piu’ o meno avveniristici. Rasentiamo i punti di ristoro. Giulia e li’ seduta con una bibita in mano.Ha camminato a lungo dietro di noi prima di capitolare. Anche se l’idea  l’ha lanciata lei, E ancora oggi sembrava entusiasta di venirci. La Fiera del Secolo….. Diceva che trovarsi nella capitale e non approfittarne, andarsene senza nemmeno una visita sarebbe stato un crimine. A casa avremmo dovuto darne contezza. “Li,’ a un chilometro di distanza e non ci siete stati ?” Che peccato. Proprio scemi”  Invece eccoci li’, scocciati e trepidanti al tempo stesso. Robot ? Auto volanti ? Televisori morbidi ? Nossignore. Si punta al pezzo forte, Saverio ed io. Nessun diversivo, niente aperitivi, su questo siamo d’accordo, vogliamo vedere la cosa unica e raccontarla. Di certo e’ un  calvario. Ancora gente, ancora folla. Ci si fa strada lentamente badando di non calpestare qualche bambino, contando il numero delle  gomitate inferte e ricevute. E si procede in modo costante, anche se buffo, nella selva di braccia e di teste che si insinuano ovunque. E di voci, scorrettezze ed espressioni di ogni tipo che costellano il tragitto. Che e’ breve, una volta tanto. Ci arrestiamo all’inizio del corridoio dove si compone una   fila approssimativa. Niente biglietti, stavolta, o numerini, nessuna precedenza. Un plotone sufficientemente inquadrato di gente disposta ad attendere. Piu’’ o meno paziente.  Ci mettiamo in coda pure noi, affascinati da quella inaspettata quanto improvvisa disponibilita’ di spazio. Un paio di tipi della sicurezza, le braccia incrociate, lo sguardo benevolo, regolano l’ingresso al padiglione. Un cordone color cremisi, due sostegni dorati, un sipario in velluto gli unici arredi. “Due persone per volta” viene ripetuto.  Niente cellulari accesi, accendini rigorosamente in tasca, si precisa. Prendiamo confidenza con i visi che ci circondano, le nuche di quelli che ci precedono. Un bambino si volta e comincia a piangere tirando fuori un suono sgradevolmente acuto prima che la madre si avvii determinata tenendolo per mano. Pochi passi ed e’ gia’ oltre la tenda. La coppia dietro di noi si stringe. Bisbigli. Risatine complici.
Non parliamo, Saverio ed io. Facciamo trascorrere quei dieci minuti scrutando intorno, alla ricerca di un appiglio per i nostri occhi. Un manifesto, un riquadro  qualunque, un elenco di raccomandazioni. Niente di niente. Cerco di  decifrare la scritta sulla targhetta di riconoscimento dell’inserviente che ci passa accanto,ma  il tipo in uniforme fa un cenno ed e’ gia’ il nostro turno. Un lato del cordone si affranca dal paletto. La tenda si apre su un corridoio buio lungo il quale procediamo lentamente. Fino a scorgere una pallida luce nella una strozzatura del corridio. Quando ci arriviamo non risulta facile individuare le indicazioni. Ma poi ci appare la freccia, un po’ scolorita, dipinta sulla parete. E lo spioncino disposto a lato. Saverio avvicina il viso per primo mentre io attendo il mio turno. E mi appoggio,  stanco, alla parete, le braccia conserte, le punte delle scarpe unite e le spalle al futuro.



CALIFORNIA

Un giorno ci arrivero’, ne sono certo. Attendero’ paziente e compito l’annuncio del mio volo all’aeroporto di Phoenix con una rivista di musica in mano. Mi portero’ dietro il mio zaino e la mia abbronzatura western. Mettero’ la cintura con la fibbia da camionista, mi ficchero’ nelle orecchie la musica dei Prairie League. Sorvolero’ l’Arizona ed il Nuovo Messico fino a vedere li’ sotto i campi coltivati a vite ed arance. Tirero’ il respiro piu’ lungo della mia vita avviandomi giu’ per la discesa fino al Golden Gate. Osservero’ compiaciuto il tranquillo procedere dei tram, le case in legno, i quartieri hippy, le vestigia di un passato ancora recente. E camminero’ nell’aria ventosa, i pensieri in subbuglio e gli occhi pieni. Occhi bambini, che staranno gia’ correndo innanzi, verso la spiaggia che ancora sembra lontana. E si volteranno solo un istante prima di tuffarsi in mare lasciandomi indietro. Lasciandomi solo ad aspettarli.


IMBUCATO

Imbucato dici ? Beh, che c’e’ di male?. Ho perso un braccio a Waterloo, lasciato una gamba a  Gettysburg e un piede in Russia. Sono arso vivo a Magdeburgo, collassato a Dunquerque. Ovvio che tuteli quel poco rimasto. Ora dalla trincea lascio uscire per primi gli altri, anzi a volte neppure mi affaccio dopo averli sentiti gridare, prima per farsi forza e poi per accompagnare la propria agonia. Vigliacco, dici? Di’ pure traditore. Pero’ quando la tromba suona la ritirata mi guardano con invidia sedermi sulla sdraio a contemplare il tramonto. E mentre le nuvole si diradano e l’orizzonte si fa rosso rosso i loro sguardi, ne sono certo,  contemplano con invidia la mia oasi, accarezzano la sabbia e si posano sul mio corpo, o quel che ne resta.

giovedì 13 gennaio 2011

ALTRI RACCONTI 2

CREPE

“Costruire, li ? No, neanche per sogno” “Ristrutturare ? Inutile” Ci guardiamo per un po’, o meglio noi lo guardiamo e lui rimane li’ con quell’espressione divertita in volto, gli occhi che non guardano propriamente nella nostra direzione, ma nemmeno altrove. Sta prendendo la rincorsa. Il sorriso si gonfia, ma conserva ancora un po’ della commiserazione iniziale. Autentica, magari. “Ma li leggete i giornali?” Chiede, e sorrido anch’io perche’ fra quel cumulo di progetti, faldoni, cartine e mappe catastali, vedo spuntare “La Gazzetta dello Sport”. “Si, si, anche i telegiornali, ne hanno parlato anche loro. Certo non approfonditamente, per ora” . “Inutile, un terreno condannato, da lasciar perdere e basta”. Mi impegno, mentre prende fiato. Cerco di decifrare la sua mimica, aldila’ di quello che dice. Elenco le varie magagne che puo’ nascondere un fazzoletto di terra apparentemente solido, che si direbbe immerso in un contesto ancora relativamente salubre. Penso alle malinconiche notizie legate all’inquinamento. Ripenso ai temi che gia’ trent’anni fa proponevano a scuola sull’argomento. Contaminazione delle falde acquifere. Dispersione di materiale contaminato. Valuto anche possibilita’ piu’ remote, ma non meno drammatiche. Precarieta’ di tipo geologico. Propensioni telluriche.  Glielo chiedo, alla fine., con ferma cortesia. “Sia chiaro, per favore, dobbiamo ben regolarci in qualche modo”  Ci pensa un attimo,   “La crepa…”  fa poi. “Certo non ancora una notizia da prima pagina…ma ne ha parlato anche il foglio locale. Un solo articolo, pero’ la questione gira da un po’per il paese”. Tace qualche secondo e si assicura di aver trattenuto l’ombra del sorriso originario, prima di riprendere. “Il punto e’ che  nessuno sa che pesci prendere. E’iniziato un anno fa. No, no nessun evento sismico, nessuna scossa. Se ne sono accorti  al mattino. Una strada statale ad un trecento chilometri da qui, si, si , vicino al mare. Nell’immediato sembrava fosse un problema di asfalto. Magari! Nossignore, si trattava di una faglia, e bella profonda”. “Pochi centimetri al giorno, nessuna fretta. Ma si e’ gia’ mangiata un bel po’ di cose, da allora. Qualche centinaio di case, scuole, diverse officine, piloni, tralicci  e  strade. Certo che li hanno chiamati, e fior di esperti, anche. Fatte le perizie tecniche, consultati  gli  specialisti. Niente da fare. Ipotesi, possibili soluzioni, un tentativo con l’esplosivo, senza esito Pare che per ora l’unica soluzione sia farsi da parte” “ Cosa dicono….? Eh, tante cose, dicono, tutta teoria, pero’” “ Se si fermera’? Spontaneamente no, non credo. Ma e’ lenta, lentissima, c’e’ tutto il tempo, sapete?. Basta non farsi prendere dal panico. E’ sufficiente regolarsi, organizzarsi, spostarsi, non averci a che fare, e se proprio non punta verso di noi, ignorarla. Oppure prendere la propria roba ed andarsene. Lasciar perdere, emigrare, senza  affanni e rimpianti.” Poi, di fronte alle nostre espressioni interrogative e desolate aggiunge: “Ma come ho detto cammina lentamente, procede  senza fretta, per ora. E ci lascia tempo.Ci lascia tutto il tempo.


 MANGIATE DI PESCE

I colleghi non mangiano mai il pesce. Si fanno delle mangiate di pesce. Gli hanno portato di tutto, gli hanno servito gli astici extra conto, li hanno riempiti di cozze e ricci di mare. Due gamberoni giganteschi. Il primo erano due piatti enormi di linguine, sai con i frutti di mare, fatti al momento. Scoppiavano. L'amaro era offerto dai gestori. Resti zitto ed ammicchi. Poi li immagini questi posti anonimi, sfigati e neanche tanto numerosi, che costellano queste pianure malinconiche, li vedi alcuni di questi pesci tratti dai locali rigagnoli,  impestati e fetidi, il cuoco egiziano, gli arredi sporchi ed approssimativi, il salone con i quadri tristi che riproducono pesci e persone e mercati di pesce. E pesce. Mangiate di pesce.

GIUSTIZIA

Da quando il secondo comma dell’art.834 ha modificato sanzioni e tipo di procedibilita’ del reato gia’ previsto dall’art 981, come modificato dal Decreto Legislativo 445/89, limitatamente alle voci “colposamente” ed “in buona fede”,al tempo stesso mantenendo le aggravanti elencate nel dispositivo di attuazione che ne precisa i termini (vedi pero’ le esclusioni del tutto speciali eminentemente contenute nel Decreto Presidenziale 678, trasformato in Legge 456 nell’anno in corso), fatto salvo quanto disciplinato dalla c.d. Legge Rossi (poco importa a quale scuola interpretativa ci si riferisca nell’orientarsi in merito al concetto di “presumibile indegnita’”) e dalla legge quadro che e’ intervenuta a comprenderne i precetti, anche se improntata ad un inedito approccio alla materia in esame,
La gente e’ smarrita.

ALTRI RACCONTI 1

PULCINI DA ALLEVAMENTO

Li osservo, talvolta, la sera. Alla luce un po’ asettica e un po’ mesta dei riflettori. Il piu’ grande avra’ dieci anni. Ciascuno con la maglia della sua squadra. Maglie povere, alle volte poco dissimili, prive di stemmi ed emblemi, ma non importa, basta il senso di appartenenza, lo spirito di gruppo, del proprio gruppo. Giocherebbero a lungo per i fatti loro, ci scommetto, con la fantasia e l’immaginazione a regolare i loro gesti. Gesti avventati, magari, Pericolosi, forse. Ma ci sono i grandi. Certe sere le squadre che giocano o si allenano sono piu’ di due e allora gli adulti, mentre due diversi team sono attivamente in campo e palleggiano o si contengono il possesso della palla, si assiepano assieme ai piccoli giocatori delle altre compagini a dar loro suggerimenti e consigli. Perlopiu’ assistono a cio’ che accade in campo, prevalentemente passano il tempo a dispensare suggerimenti e gridare le solite dritte. Esortazioni. Ordini. Sento risuonare allora imperativi categorici del tipo “Passa!” “Tira sta palla!” “Corri!” “Piu’ forte, dai!”.  E quelli obbediscono quasi sempre, o quando si tratta di apprezzamenti negativi, abbozzano. E, si’, mi dico, starebbero giocando per i fatti loro, ne starebbero inventando loro di giochi. Se non ci fossero loro ad accertarsi che rispettino le regole, che non fuoriescano dai margini del campo.


LEZIONE

A PierLuigi

 
E’un luogo bizzarro, la terra di nessuno. Parte dalla seconda fila di banchi, la porzione vicina al muro del corridoio e si ferma alla terza, ai confini della zona impercorribile. E’ uno stato cuscinetto che si frappone fra me ed il totalmente ignoto. Nessuna regola di accoglienza, scarsa permeabilita’. Men che meno un’interfaccia o, un porto dal quale partire in esplorazione. Valgono ancora regole, si afferma ancora un labile nesso causale, sopravvivono costumi civili e decifrabili, accanto a manifestazioni selvagge ed oscure. Talvolta vi serpeggiano umori di guerra. O talvolta, come oggi,  il semplice malumore.  La Landri e la Fuoco, per esempio, e la Marti –si direbbe- contro il Tamandri ed l’Occhiobuono. Lampi di sole che arrivano dai vetri sgrassati alla meglio. Che svelano la tensione e i gesti incazzosi, anche della Mila, che spesso fa da pacere.Minacce gravi ma ridicole, ai miei occhi. “Sflaggati via, se no cavo la lama” viene intimato. “Bruciatevi via, sfighi”.
Qualcuno sgomita nel vuoto per lanciare segnali. Mimiche impazienti che l’aria dell’’aula raccoglie e contiene rattrappendosi. Nessuna valenza apparente ,invece,  nessuna facile scorciatoia offerta dal successivo mutismo dei maschi. Occhiobuono si toglie gli auricolari, incrocia le braccia e prende a guardarti come se si aspettasse qualcosa da te, un simulacro di lezione forse. Ma cosa posso insegnarti, io, che non parlo nemmeno la tua lingua ? Ti chiedo. Che possono  far finta di comunicare le mie vecchie labbra ? Senza contare che sono le dieci, ed e’ inutile iniziare ora.. Si resta in attesa dell’intervallo, prima, e poi del giro dello squalo, attivita’ alla quale assistiamo ormai muti, la terra di nessuno ed io.
Qualcuno esce, si porta in qualche anfratto che meglio ne tuteli la privacy. Guadagna luoghi a me ignoti dove compiutamente coltivare i propri interessi, condurre i propri traffici. Di ogni tipo. Quando rientra ha il tempo e la voglia di sedersi prima che alla porta bussino i poliziotti. Questa volta niente cani, stamane piu’ celerita’ nell’ispezione. Si saluta, oggi, mentre si e’ gia’ a meta’ del giro, mentre si capisce che anche stavolta non si trovera’ nulla. “Tutto negativo, prof.””A domani, prof”. Ma io li sento appena, li saluto per riflesso. Sono in ascolto di altro. A quest’ora si sara’ svegliato, penso. In questo momento stara’ facendo colazione.Immagino la superficie del croissant che va sbriciolandosi, i piccoli frammenti che cascano sulla barba bianca, il caffe’, forse, o il the’. I pensieri rumorosi, il plusvalore. Fumava il sigaro ? Non ricordo, Ma ce lo vedrei bene ad afferrarne uno e portarselo dietro, alla scrivania. E’ un omone, Carlo, e quando cammina si sentono risuonare i passi al piano di sopra. Procede per un po’, avanti e indietro , all’interno del suo studio, lungo le sale dismesse del terzo piano. E, come ogni mattina, senza ormai alcuno sforzo, intravedo la polvere bianca dell’intonaco distaccarsi dal soffitto, ad ogni suo passo, piovere sull’aula. Forse anche quelli della seconda e terza fila vedono qualcosa, percepiscono remotamente il fenomeno. Sta di fatto che succede. E mi rende felice. E mi fa restare seduto a godermi il sole e pensare ai fatti miei, e sorridere, mentre la neve scende, il talco offusca per un po’ la limpidezza dell’aria, la polvere si deposita sui miei panni antiquati, sui miei capelli gia’ bianchi. Nessuno mi sta guardando, nessuno mi presta attenzione, ma se lo facesse, ora, forse mi vedrebbe .

martedì 11 gennaio 2011

RACCONTI 10

NON TI AMIAMO

Apprezzabile il tuo sforzo di venirci incontro, dopo quella litigata, dopo la diaspora familiare.Ma non ce l’avevamo con te. Tu hai fatto, avresti voluto fare da pacere. Ti sei messo in mezzo, Ti sei, come si dice, prodigato in tutti i modi. Non ti sei schierato, certo, ma lo so, simpatizzavi per noi. Ci hai dato fiducia. Hai fatto da intermediario perche’ ci concedessero il prestito. Ti sei sbattuto per procurare un lavoro a nostro figlio. Ti devo la precedenza concessami per quella visita medica. Probabilmente hai fatto altre cose per noi che ignoro. Ti fai vivo, ti dai da fare. Proponi. Ma, non avertela a male. Te lo ripeto: non sei uno di noi e…dovresti averlo capito, non ti amiamo.

RACCONTI 9

IL VENTO

E’ stato un pomeriggio strano, tenero e premuroso con me. E la sera non e’ da meno. Il tramonto e’ pacato e languido, il cielo da incanto, Vado a letto e poi,  quando mi sono sistemato bene, il vento. Un sussurro leggero, prima, che cede presto il passo a un turbinare agitato e senza pausa. Penso subito ai risvolti pratici. Alle cose accumulate sul balcone durante il giorno, quando si e’ fatta pulizia in casa. Ancora li’, in attesa di sistemazione. Ed instabili. Rifletto se alzarmi.Se sia il caso di metterle in  sicurezza mentre il soffio si fa’ sibilo e le imposte mal assicurate prendono a sbattere nervose avanti e indietro. Un rumoreggiare diffuso di oggetti che, anche in strada, vengono ora percossi dopo essere stati accarezzati. Il mondo e’ ormai piombato nell’oscurita’. Le tenui tinte del tramonto, di mezzora prima, non le ricordo nemmeno. Vado in esplorazione vestito approssimativamente perche’ e’ gia’ primavera e anche se mi spingo sul terrazzo, non puo’ fare cosi’ freddo. Afferro i lembi dello scatolone. Afferro una massa di oggetti che non riconosco subito e ce li lascio cadere dentro. Arretro i vasi e l’inaffiatoio. Imprigiono con elastici i portacandela e gli attrezzi da giardino. Ripongo quel che resta nella parte meno esposta del balcone e torno dentro. Mi passa il sonno. Una birra ci starebbe bene. Ma mentre mi dirigo verso il frigo mi prende una inspiegabile agitazione. Il suono, ora, e’ un tormento continuo e insistente , da tremare. Mi seggo in soggiorno. C’e’ una foto li’, di fronte a me, di quando ero giovane. Cosa pensavo. Cosa volevo? Che fine ha fatto la giacca che indosso? Mi e’ rimasto qualcosa, di allora?. E’ tardi, accendo la televisione per far tornare il sonno. Telegiornali, telefilm, cronache di rese incondizionate. Ogni tanto sposto lo sguardo e non vorrei, ma gli occhi tornano  alla foto e mi vedo perduto, vagante nello spazio, irrimediabilmente abbandonato, disperso fra nubi cosmiche, mentre sulla Terra soffia il vento. Questo vento.